Dentro il Pc

La piastra madre e la CPU

All’interno del case, la prima componente che dovrebbe attirare la nostra attenzione è una vasta piastra piena di componenti elettroniche di tutti i tipi. Si tratta della cosiddetta piastra madre, la scheda che raccoglie in maniera efficiente e compatta la maggior parte delle componenti fondamentali di ogni computer: il microprocessore, che costituisce il vero ‘cervello’ del computer, e poi la memoria, le porte di comunicazione, e così via. Per capire come è fatta una piastra madre, possiamo aiutarci con le figure seguenti (che rappresentano una tipica piastra madre).

Figura 1 - una piastra madre

una piastra madre

 

 

Figura 2 - la struttura interna di una piastra madre

 la struttura interna di una piastra madre

 

   La prima e più importante componente della piastra madre è il microprocessore, ovvero la cosiddetta CPU (Central Processing Unit). Per essere esatti, microprocessore e CPU non sono proprio la stessa cosa: parliamo di microprocessore quando ci riferiamo all’oggetto fisico che si trova nel nostro computer (e ormai anche in moltissimi altri dispositivi, dalle automobili ai televisori, dalle macchine fotografiche agli impianti HI-FI…), mentre quello di CPU, ovvero di unità di elaborazione centrale, è soprattutto un concetto logico-funzionale. Concretamente, comunque, la CPU è per così dire ‘incarnata’ dentro un microprocessore (magari insieme ad alcune componenti aggiuntive), e nella maggior parte dei contesti i due termini possono essere usati in maniera quasi intercambiabile.

Ma cosa fa la CPU? La CPU corrisponde un po’ alla ‘fabbrica’ che lavora sulle informazioni, o meglio, alla catena di montaggio di questa fabbrica. Essa infatti lavora per lo più trasferendo (copiando) informazioni in formato digitale dalla memoria del computer a dei piccoli ‘scaffali di lavoro’ disponibili al suo interno, i cosiddetti registri; leggendo quindi i valori che trova nei registri, modificandoli se necessario in base alle regole previste dal programma che sta eseguendo, e quindi trasferendo nuovamente nella memoria i valori eventualmente modificati. Fra i registri dei quali dispone la CPU, ve ne saranno alcuni destinati a contenere i dati sui quali il processore sta lavorando, altri che conterranno - sempre in forma codificata - le istruzioni che il processore deve eseguire, mentre un registro ‘contatore’ si occuperà di controllare l’ordine con il quale vengono eseguite le istruzioni del programma, tenendo nota di quale istruzione il processore sta eseguendo in quel determinato momento.

I bit che vanno avanti e indietro dai registri e sui quali lavora l’unità di controllo  hanno naturalmente bisogno di canali attraverso cui viaggiare: si tratta dei cosiddetti bus; l’architettura di un computer dovrà naturalmente prevedere diversi tipi di bus per lo scambio di dati: alcuni interni alla CPU, altri fra la CPU e le altre componenti del computer. I bus di dati sono strade di comunicazione assai trafficate, e l’efficienza e la velocità di un computer dipenderanno anche dalla loro ‘portata’: un numero maggiore di ‘corsie’ permetterà di far viaggiare contemporaneamente più bit, e migliorerà la velocità del sistema.

Quanto abbiamo detto finora non basta certo a dare una rappresentazione completa e rigorosa del lavoro interno alla CPU, ma speriamo possa fornirne almeno un’idea: nel cuore del nostro computer lavora un’attivissima fabbrica impegnata nella continua elaborazione di dati in formato binario (rappresentati cioè da lunghe catene di ‘0’ e ‘1’); attraverso le vie di comunicazione costituite dai bus, la materia prima arriva dall’esterno sotto forma di dati binari in entrata; viene poi ‘lavorata’ in accordo con le istruzioni del programma, e viene infine nuovamente ‘spedita’ verso l’esterno. Resta da dire che i ritmi di lavoro della fabbrica sono scanditi dall’orologio della CPU (più ‘veloce’ è questo orologio, più rapidamente vengono eseguiti i compiti richiesti), e che le capacità di elaborazione della fabbrica dipendono direttamente dall’insieme di istruzioni che il processore può riconoscere ed eseguire: ogni programma costruito per essere eseguito da un particolare processore deve essere basato su comandi tratti dal relativo ‘set di istruzioni’.

Figura 3 - Una CPU, inserita all'interno dello slot verticale che la ospita nella piastra madre.

Una CPU, inserita all'interno dello slot verticale che la ospita nella piastra madre.

Anche chi non utilizza normalmente un computer sa probabilmente che per identificare le caratteristiche di questa o di quella macchina si utilizzano spesso e volentieri sigle piuttosto arcane: Pentium III 500, Celeron 233, PowerPC G3, e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, non di rado le sigle che trovate associate ai diversi computer indicano, oltre al nome del processore, la sua ‘frequenza di clock’, ovvero la sua ‘velocità’, espressa in megahertz. Il processore al momento più diffuso è il Pentium della Intel. E un Pentium II 200 avrà un orologio interno che cammina alla velocità di 200 megahertz, e sarà un po' più lento di un Pentium II 300, e parecchio più lento di un Pentium II 400.

Nel corso del tempo, la frequenza di clock dei processori è andata continuamente aumentando: pensate che i processori dei primi personal computer IBM avevano una frequenza di clock di poco superiore a 4 megahertz, mentre oggi non è infrequente trovare processori con frequenza di clock pari a 500 megahertz o superiore.

Naturalmente, il fatto che la CPU lavori così velocemente porta anche dei problemi: ad esempio, le CPU di oggi, lavorando a una frequenza molto alta (‘molto velocemente’), sviluppano anche molto calore. Ed ecco che diventa essenziale ‘raffreddare’ le CPU; un sistema spesso usato è quello della sovrapposizione alla CPU stessa di una piccola ventola a motore. Altrimenti? Altrimenti, surriscaldata, la CPU potrebbe lavorare male, o guastarsi del tutto.

Abbiamo parlato della ‘frequenza di clock’ come di uno degli indici della velocità di un processore. Ma ricordiamo che la potenza effettiva di un processore non dipende solo dalla sua frequenza di clock. Dipende anche dal numero e dal tipo di istruzioni che il processore è in grado di eseguire.

Abbiamo detto che la CPU è la più importante fra le componenti che troviamo sulla piastra madre. Ma dove si trova la CPU? Nella piastra madre rappresentata dalla Figura 2, essa viene inserita nella fessura (slot) situata in alto a destra e marcata come slot one. In altre piastre madri, la CPU può essere invece inserita in un apposito alloggiamento (socket) orizzontale, in genere di forma quadrata. Alcune piastre madri permettono di alloggiare due CPU, che si divideranno il lavoro migliorando le prestazioni del computer. Il fatto che la CPU non sia saldata alla piastra madre, ma inserita in un apposito slot permette all’occorrenza di sostituirla, magari con un modello più recente (che in questo caso dovrà però essere progettato in modo da adattarsi allo slot già esistente).

Le ‘porte’ della piastra madre

Sopra lo slot nel quale alloggia la CPU, troviamo le porte di comunicazione verso l’esterno; attraverso di esse, i dati possono raggiungere periferiche come stampante, tastiera, mouse, schermo, modem (e magari per questa via altri computer collegati alla rete Internet) e così via.

Le porte che vedete indicate sono la porta parallela (utilizzata in genere per il collegamento di una stampante, e per i modelli più economici di scanner) e quella seriale (alla quale possono essere collegati modem, mouse e altri dispositivi), la porta USB (Universal Serial Bus) che costituisce un’alternativa recente e più veloce alla porta seriale, e permette di collegare ‘a cascata’ molteplici periferiche (fra l’altro schermo, telecamere, scanner, mouse, tastiere…), e la porta PS/2, usata spesso per il collegamento del mouse. Naturalmente, queste porte sono collegate alla CPU attraverso bus di dati che ‘corrono’ lungo la piastra madre; per evitare una eccessiva confusione dello schema, nell’immagine i bus di dati non sono evidenziati, ma dovete pensare a tutta la piastra madre come percorsa da una fitta ragnatela di strade di comunicazione che ne collegano le diverse componenti.

Sotto lo slot del processore troviamo il chip di controllo della AGP (Accelerated Graphic Port); la AGP è un canale dedicato a far circolare in maniera veloce unicamente i dati grafici. Le applicazioni multimediali più recenti - e soprattutto i giochi, particolarmente ‘affamati’ di grafica ricca e dettagliata - richiedono infatti la generazione e l’aggiornamento continuo delle immagini inviate allo schermo. Ecco allora che un canale dedicato esclusivamente al passaggio dei dati grafici può rivelarsi prezioso, specialmente se affiancato da una buona scheda grafica in grado di aiutare la CPU nella loro gestione.

A fianco della AGP, nella parte superiore sinistra della piastra madre rappresentata nella Figura 2 troviamo degli altri slot, marcati come ISA e PCI: si tratta di alloggiamenti nei quali possono essere inserite schede di espansione (ad esempio schede sonore, grafiche, video, ecc.). Le sigle ISA e PCI identificano due standard diversi: lo standard PCI (Peripheral Component Interconnect) è più recente, e permette una comunicazione più veloce fra la scheda e la piastra madre; lo standard ISA (Industry Standard Architecture) è più antico, era già presente sui primi personal computer IBM, e pur se meno efficiente, proprio per la sua natura di standard diffuso ha continuato ad essere utilizzato negli anni successivi (spesso nella versione ‘estesa’ rappresentata dall’Extended ISA o EISA).

Figura 4 - Una scheda di espansione

Una scheda di espansione

Memoria

Un’altra componente fondamentale della piastra madre sulla quale vale la pena di soffermarsi è la memoria. La CPU ha bisogno di memoria esterna, di molta memoria esterna sulla quale conservare (nel solito formato digitale!) i dati di lavoro, le istruzioni dei programmi che sta eseguendo, e così via. La memoria utilizzata dalla CPU può essere di vari tipi: memoria ‘a portata di mano’, disponibile sulla piastra madre, e alla quale è dunque possibile accedere, in lettura e scrittura, in maniera molto veloce, e memoria esterna alla piastra madre, sotto forma di dispositivi di memoria di massa come i floppy disk, i dischi rigidi, i CD-ROM, i DVD ecc.

Ci soffermeremo più avanti sulla memoria ‘esterna’; per ora concentriamoci su quella direttamente innestata nella piastra madre. A sua volta, essa può essere di vari tipi; il deposito più capiente è quello rappresentato dalla cosiddetta RAM (Random Access Memory), dove mentre usiamo il computer viene conservata, momento per momento, la gran parte dei dati sui quali stiamo lavorando e delle istruzioni relative ai programmi che stiamo usando. Se ad esempio stiamo utilizzando un programma di videoscrittura, la RAM conterrà il testo che stiamo scrivendo (o una larga parte di esso) e i moduli fondamentali del programma che stiamo usando per scriverlo.

La RAM è una memoria volatile: i dati vengono conservati sotto forma di potenziali elettrici, e se spegniamo la spina (o se va via la corrente) vanno persi. Nello schema della Figura 2, la RAM viene inserita negli alloggiamenti (sockets) in basso a destra, subito sopra i connettori per disco rigido e lettore di floppy disk.

Figura 5 - una scheda di memoria RAM, pronta ad essere inserita nell'apposito alloggiamento all'interno della piastra madre

Una scheda di memoria RAM, pronta ad essere inserita nell'apposito alloggiamento all'interno della piastra madre

E’ necessario però che sulla piastra madre sia presente, a disposizione della CPU, anche una parte di memoria non volatile, contenente una serie di informazioni fondamentali per il funzionamento del computer. Ad esempio, le informazioni su quali siano i dispositivi presenti sulla piastra madre, e su come comunicare con essi. Queste informazioni non possono essere date ‘dall’esterno’, perché senza di esse la stessa comunicazione con l’esterno è impossibile. Non possono nemmeno essere volatili, perché se lo fossero scomparirebbero al momento di spegnere il computer, e alla successiva riaccensione non sapremmo più come reinserirle, dato che il computer stesso non ‘ricorderebbe’ più come fare per comunicare con l’esterno.

Devono dunque essere a portata di mano, sulla piastra madre, e conservate da una memoria non volatile. Si tratta del cosiddetto BIOS, Basic Input-Output System. La memoria non volatile che conserva questi dati è in genere considerata memoria a sola lettura, o memoria ROM (Read Only Memory), anche se ormai questa denominazione è inesatta: si usano infatti sempre più spesso a questo scopo moduli di memoria non volatile 'aggiornabili' in caso di necessità (flash memory).

Nello schema della, la memoria che contiene il BIOS si trova sulla sinistra, subito sotto gli slot ISA.

Talvolta, oltre al BIOS, nella memoria non volatile trovano posto anche veri e propri programmi; è il caso ad esempio di molti computer palmari della nuova generazione (si tratta dell’evoluzione delle cosiddette agendine elettroniche: pesanti qualche centinaio di grammi e in grado di essere portati in una tasca, i computer palmari di oggi sono molto più potenti dei personal computer di sei o sette anni fa). In questo caso, l’installazione in ROM del sistema operativo e dei principali programmi usati consente non solo di averli immediatamente a disposizione, senza aspettare i tempi necessari al loro caricamento da una memoria esterna, ma anche di ridurre il peso della macchina, dato che non servono dispositivi di memoria di massa come dischi rigidi o floppy disk dai quali altrimenti questi programmi dovrebbero essere caricati.

Figura 6 - un computer palmare

 un computer palmare

Dal momento che stiamo parlando di memoria, conviene aggiungere una annotazione: abbiamo visto come nella piastra madre trovino posto la RAM e la ROM del computer. Negli ultimi anni, tuttavia, si è diffusa l’abitudine a inserire una memoria autonoma di una certa ampiezza anche all’interno del microprocessore; questa memoria, detta memoria cache, trovandosi a portata diretta della CPU è ancor più veloce della RAM installata sulla piastra madre, ed è quindi in grado di migliorare ulteriormente le prestazioni del sistema.

Ma torniamo alle principali componenti che trovano posto nella piastra madre, per concludere il nostro rapido viaggio al suo interno. Non ci manca molto: resta da ricordare che sarà naturalmente necessario un collegamento che porti l’energia elettrica (power connector), e che sarà di norma presente anche una batteria tampone in grado di mantenere aggiornati alcuni dati essenziali (ad esempio la data e l’ora) anche a computer spento.

Dischi rigidi

Il principio di funzionamento è identico a quello dei floppy disk e la tecnologia è magnetica.
Il disco rigido comprende in un unico dispositivo sia il supporto di registrazione magnetica che la parte meccanica di motore e testine. Nella maggior parte dei computer è presente un disco rigido nella configurazione di base, nel qual caso è compreso nella stessa unità centrale e viene chiamo disco interno. Se il computer ne è sprovvisto, o se ne occorre un altro per necessità di archiviazione, si tratta di un’apparecchiatura autonoma, chiamata disco esterno.
Il supporto di registrazione è formato da un disco di acciaio sul quale è presente la sostanza di ossido metallico. Il disco di acciaio può essere singolo o multiplo, rendendo così maggiore la capacità di archiviazione del drive.
La capacità di un disco rigido è nettamente superiore a quella di un dischetto su supporto flessibile. I primi dischi rigidi avevano una capacità di 2Mb o di 5Mb. Con il diffondersi dei personal e con il progresso tecnologico, i dischi rigidi sono saliti a 10Mb, 20Mb, 40Mb, 80Mb, 180Mb e così via. Oggi è comune trovare dischi di 20Gb, 30Gb soprattutto per applicazioni grafiche o come unità di memoria di massa per server di rete.
Un tipo di dischi rigidi, rispondenti allo standard SCSI, possono essere collegati ad uno stesso computer utilizzano una sola scheda di interfaccia. Il primo disco è connesso al computer, mentre i successivi sono collegati l'uno all'altro a catena, fino ad otto unità.

Dischi rigidi rimovibili

Si tratta di dischi in acciaio, esattamente uguali a quelli che si trovano all'interno dei dischi rigidi interni od esterni. La loro importante caratteristiche è quella di trovarsi all'interno di una cartuccia in plastica, che ne permette l'estrazione e l'interscambio.
I dischi rimovibili, come tutti i dischi rigidi, hanno capacità di archiviazione nettamente superiori a quella dei dischetti flessibili. La cartucce più comunemente in circolazione hanno una capacità di 45Mb, mentre altre hanno capacità di 88Mb.
Tranne rare eccezioni, i disk drive per dischi rigidi rimovibili sono tutti di tipo esterno, come dispositivi autonomi, rispondenti allo standard SCSI.
I disk drive da 88Mb possono leggere i dischi da 45Mb, ma non possono registrarvi. I drive da 45Mb non possono né leggere né registrare sui dischi da 88Mb.

 Dischi ottici scrivibili  

Queste unità di memoria di massa utilizzano, in fase di lettura, la stessa procedura dei compact disk: un raggio laser colpisce il disco e la sua rifrazione nelle scanalature viene trasformata in impulsi elettrici e, quindi, in dati.
La differenza con il compact disk consiste nel fatto che il disco non è costituito solo da plastica stampata, ma anche da una sostanza fotomagnetizzabile che rende possibile la registrazione di dati.
In fase di registrazione il raggio laser diventa molto più forte e, colpendo una zona del disco, magnetizza la sostanza. Questa, cambiando la polarizzazione, cambia il suo fattore di rifrazione. Ecco quindi che il raggio laser, più debole, potrà poi leggere questa stessa zona ed interpretarne la risposta luminosa come un dato da inviare al computer.
Esistono due tipi di dischi ottici scrivibili, ciascuno caratterizzato da una diversa sostanza fotomagnetizzabile: quelli che possono essere magnetizzati una volta sola e quelli che possono essere magnetizzati e smagnetizzati più volte.
Con i primi, chiamati WORM, da Write Once Read Many, quando il raggio laser è passato in scrittura sopra una zona del disco, non è più possibile modificarne la polarizzazione per cancellare i dati e scriverne di diversi. Una volta che il disco è stato riempito può essere utilizzato solo in lettura come un CD-ROM.
Con i secondi, il raggio laser può cambiare più volte la polarizzazione di ciascuna zona del disco ed una volta riempito è possibile cancellare i dati vecchi per scriverne dei nuovi.
La capacità di archiviazione dei dischi ottici e considerevole, dell'ordine delle centinaia di megabyte, ed hanno una ottima velocità di accesso alle informazioni.

Indice generale